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RIASSUNTO
28. Mai 2003
 

Sospetto di grandezza -
Michele Mari: Tutto il ferro della torre Eiffel

Adesso il primo asmatico che puccia
un biscottino nel the si fa chiamare scrittore!

Michele Mari

 

Se un libro avvince e fa anche ridere, stimola i pensieri e la fantasia, se rivela anche senso dello stile, ma tuttavia lascia il lettore senza parole e lo lascia perplesso, questo libro suscita il forte sospetto di essere un grande libro, un libro importante. Il nuovo romanzo di Michele Mari "Tutto il ferro della torre Eiffel” genera esattamente questa reazione. Un altro indizio della sua grandezza potrebbe essere l’ambiguità della critica [1].

Prima di tutto il lettore sarà sconvolto dall’incredibile abbondanza di riferimenti culturali, che rivela una familiarità invidiabile con la letteratura e la filosofia europea. Le diverse sequenze narrative costruiscono significativi incontri fra ben noti artisti, che a loro volta accennano ad altri intellettuali contemporanei; alcuni di questi incontri sono storicamente documentati, altri possibili o semplicemente inventati. L’autore, nato nel 1955, compila un’affascinante enciclopedia della cultura europea dell’Ottocento e Novecento.

Il fulcro però è Parigi, la "chtonica Parigi di Baudelaire”, la Parigi dei Passaggi; la guida at-traverso questo labirinto é conseguentemente Walter Benjamin, il creatore del monumentale "Passagen-Werk” ("I 'passages' di Parigi”), l’autore che unisce in sé in modo esemplare letteratura, filosofia ed arte, ma anche la Germania e la Francia, il cristianesimo e l’ebraismo.
Michele Mari sostanzialmente non fa nient’altro che collegare…

"Ci sono luoghi e tempi, nella storia, in cui tutto si sfiora: il gioco doloroso e affascinante di questo libro è fermarsi sul crocevia, e provare a dar vita alle parole mai dette, alle più insospettabili affinità”. E poi: "Solo i passages … rimescolano i tempi storici facendo incontrare i vivi e i morti in un sottomon-do onirico carico di reminescenze e di premonizioni” (sopraccoperta).

Una delle parti più memorabili di tutto il libro è senza dubbio l’epocale partita fra Benjamin ed Erich Auerbach, il famoso filologo. C’è tanto in gioco: la grande collezione di reliquie della letteratura e dell’arte, oggetti come lo Spleen di Parigi, la fontana di Duchamp, la pipa di Margritte, che "non è una pipa”, i tre puntini di sospensione di Cèline oppure l’"Odradek” di Kafka…
Gli scacchi però entrano anche in altra funzione in quest’incantevole libro; si snodano come fili conduttori e creano idee buffe e comiche piene d’associazioni.
C’è tanto da scoprire in questo libro ricco ed intelligente. Il suo vero valore per gli scacchisti non si trova nel cosiddetto "onore” tributato al gioco, oppure ai suoi adepti, e neanche nella "testimonianza d’attenzione e d’amore verso il nostro gioco” [2], (come ha sbrigativamente scritto un recensore, tanto per dare al mistero una comoda interpretazione), ma nella presentazione del gioco stesso in un libro di prima qualità (cosa successa solo tre o quattro volte fino ad oggi). Questo però vale solo per gli scacchi con "l’aura”, cioè gli scacchi di un tempo, che si collocavano a pieno titolo fra le arti.
Anche questo suscita il forte sospetto di essere davanti ad un libro importante, paragonabile forse solo ad opere dal grande Jorge Luis Borges.


[1] "Michele Mari, con Tutto il ferro della Torre Eiffel, ha spaccato in due la critica italiana: segno di enorme vitalità di una scrittura.” http://www.clarence.com/contents/culturaspettacolo/societamenti/archives/000885.html
[2] Ferruccio Pezzuto: Ultimo scacco a Parigi. In: Torre & Cavallo 1/2003. S. 49

 

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